Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/383


Entusiasmi 121

ENTUSIASMI.


Ma a questo pettegolezzo il Ratti non badò, assorbendosi ogni dì più nella scuola, con una passione ch’egli si domandava qualche volta, maravigliato, donde venisse. Non mai come allora s’era sentito vicino di spirito al grande educatore di Zurigo, che per affinità di natura egli aveva sempre prediletto. Sempre gli sonavano dentro quelle sue belle parole: — Tutto ciò che v’era di buono nello spirito dei miei fanciulli, io lo conoscevo. La mia mano teneva stretta la loro mano, i miei occhi leggevano negli occhi loro: io confondevo le mie lacrime alle loro lacrime, il mio riso al loro riso. Io non avevo amici; non avevo nulla, nemmen da mangiare; avevo solamente i miei diletti scolari. Io pregavo e insegnavo, stando accanto al loro letto, fin che si fossero addormentati. Anche quando eran lontani da me, io vivevo con essi. — E ripetendosi queste parole, capiva, sentiva con tutte le forze del cuore come il far delle anime nobili fosse la più santa e gloriosa opera che potesse compier l’uomo sulla terra. Anche a lui, come al suo grande maestro, seguiva ora qualche volta, nel cominciar la lezione, d’esser preso dall’agitazione febbrile, che assale l’artista al lavoro. Persuaso per lunga esperienza di quella gran verità, che tanto più riesce facile al maestro di tener la disciplina quanto va meglio preparato a far la lezione, ci si preparava con molta cura, ogni giorno. E facea delle lezioni filate, serrate, calde, che forzavano tutti all’attenzione, e dalle quali usciva contento, come un oratore da un trionfo di tribuna. Quando nelle brevi pause del suo discorso, voltandosi verso la finestra a guardar la vastiissima pianura punteggiata di campanili bianchi, s’immaginava le centinaia di maestri che in quella stessa ora lavoravano in quelle centinaia di villaggi a istruire e a educare miriadi di ragazzi, l’idea di aver parte in quell’opera immensa e benefica, gli faceva battere il cuore d’entusiasmo. Egli non ignorava che vari parenti d’alunni lo accusavano d’aver troppa indulgenza, lagnandosi che