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108 Camina

perso studiar lo scibile per una società che non gli pagava nemmeno il lume: la sua compagnia gli ripugnava come l’immagine vivente del disonore della propria classe. Ma essendogli capitato in casa, un dopo pranzo dei primi di novembre, a proporgli “d’andar a bere una bottiglia da don Bruna„ si rassegnò ad uscirgli insieme a braccetto per far quella conoscenza che desiderava. Don Bruna era uno dei due maestri dell’istituto Bocci. Il Ratti s’era già incontrato più volte nel villaggio con quel pretino dai capelli bianchi e dal viso gioviale, che gli aveva fatto l’impressione d’un buon amico d’altri tempi, di cui egli avesse tutto dimenticato fuorchè il viso. L’istituto era in una piccola borgata detta del Salice, posta a un miglio più su di Camina. V’andarono per una strada solitaria, in mezzo alla campagna tutta bianca, sotto un cielo tutto azzurro, in un tepor di sole autunnale. Cammin facendo, e soffermandosi ogni momento a riaccender la sua pipetta da ciabattino, il maestro Reale notificò con lunghi giri di parole al collega come don Bruna avesse un nipote di venticinque anni, che era l’altro maestro dell’istituto, e una nipote, cugina di quello, una povera contadina di cervello corto, la quale, invece di appendersi con un metro di spago a un pero dell’orto, s’era ficcata in capo di far la maestra, ed essendo stata quell’anno rimandata per la seconda volta agli esami di patente a Torino, n’aveva provato tanta vergogna, da non osar più di ritornar nel paese; il perchè s’era trattenuta tre mesi in città in casa d’una zia, e ritornata finalmente, non si faceva più vedere da venti giorni. — Perchè in questa galera di paese, — gridò, — ci sono delle lingue infami, che quando una povera ragazza fallisce agli esami di patente, dicono che l’hanno rimandata per cattiva condotta notoria: una bugia scellerata di canaglie, perchè quella, sangue d’un prete, è una ragazza onesta; e poi... una faccia da far spavento. — Erano arrivati fino a dire che aveva avuto un figliuolo pel fatto di quel muso di chierico allampanato di suo cugino! E il bello era che quelle stesse lingue dicevano che il cugino era nato con un difetto irreparabile, come a a dire che l’imperatore di Turchia gli avrebbe potuto dare un impiego di confidenza nel suo palazzo. Qui diede in una risata sgangherata, tenen-