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98 Camina

due dei quali, i più grandi, egli aveva avviato agli studi, sul primo mutare della sua fortuna, facendo dei gravi sacrifizi. Il maggiore, arrivato fino alla terza ginnasiale, a Torino, aveva tutt’a un tratto piantato il latino e l’italiano, per entrar garzone in una bottega di confettiere. Il secondo, diventato ufficiale delle Poste, e ficcatosi nella società signorile, gli aveva fatto dei chiodi, l’aveva offeso, nei suoi brevi ritorni in paese, con un disprezzo beffardo della casa paterna, delle sue origini e della sua vita, tanto ch’egli s’era disgustato a morte con lui. E a tal punto, per questi fatti, gli eran venuti in odio gli studi, che s’era deciso di lasciare alla campagna il terzo figliuolo, nato da una seconda moglie; il quale, d’altra parte, mostrava di sentir per la scuola la stessa propensione che pel camposanto. Avendo poi letto un giorno in una gazzetta un brano d’una relazione d’un provveditore, il quale diceva: — la scuola elementare in Italia, fatte le debite eccezioni, non educa i fanciulli, istruisce poco, desta precoci ambizioni e non fa amare il lavoro, — questa sentenza gli era rimasta piantata immobile nel cervello, come un responso d’oracolo, e intorno ad essa era andato sempre avvolgendo e stringendo il filo delle sue idee antiche, fino a farne un nodo che nessuna forza o finezza di ragione contraria avrebbe più potuto disfare. Quando era venuta la legge dell’istruzione obbligatoria, egli, già sindaco, l’aveva accolta con una scrollata di spalle. Gli elenchi degli obbligati non eran mai pronti che verso la fine dell’anno scolastico; le ammonizioni ai parenti eran date con un ritardo ridicolo di quindici giorni, quando eran date; di ammende nessuno aveva mai parlato; e il disaccordo tra lui e il maestro antecedente, che aveva finito con doversene andare, non era nato da altro che da questo: che il maestro s’era rifiutato di eseguire l’ordine suo, di non notare le assenze degli alunni, o di notarle giustificate, e di dichiarare assenti dal paese o morti quelli che dopo tre quattro mesi non s’erano ancor presentati alla scuola. La sua avversione per la scuola s’era naturalmente inasprita in questo contrasto, a segno che un giorno, avendo visto nelle mani d’un suo contadinello un libro intitolato L’agricoltore istruito, glie l’aveva strappato di mano e buttato dalla finestra.