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80 | In monastero |
dei loro ultimi componimenti tra le mani, ed aver per iscrizione sulla lapide quello che aveva detto Valentino Friedland prima di morire: — Sono chiamata, bambine mie, in un’altra scuola.
Ma dopo quelle parole le entrò in cuore una viva e schietta allegria, che le durò per tutta la strada, mentre i coniugi Goli e il maestro l’accompagnavano alla strada ferrata, dovendo essa partire per Torino. Si soffermava alle cantonate, al lume dei lampioni, a segnare con l’ombrellino i manifesti delle Società di Navigazione, su cui era disegnato un piroscafo, e indicava il posto a poppa dove avrebbe passato le sue serate. Recitò il sonetto del sindaco di Brilla e la sua risposta. Rifece la pronunzia ligure delle sue alunne quando recitavan la lezione. Poi disse l’astuzia che usava nei villaggi per smentire le voci calunniose: appena sapeva che l’accusavano di farsi corteggiare da qualcuno, si metteva subito a dirlo anche lei con ostentazione, e aveva notato che la calunnia cessava subito per mutarsi in un’accusa di vanterìa prima e di menzogna poi, che le era facile di far cadere quando volesse. — Oh! — esclamò, — sono una politicona!
E dal finestrino del vagone disse ancora agli amici commossi, ridendo con le lacrime agli occhi: — Guardatemi bene, sapete? perchè al mio ritorno dall’America non mi riconoscerete più. Sarò molto più nera, parlerò spagnuolo e avrò una cameriera indiana. Oh! vedrete che farò fortuna. Sposerò qualche grande estanciero, fonderemo delle scuole modello per i gauchos. Buenas noches, signori!