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In monastero 73

di cui parlassero da anni era quello d’un prete che, accomiatandosi dalla madre, le aveva baciato il velo. Tutte, in quella vita chiusa e come soffocata che menavano, avevan l’immaginazione stranamente eccitata, come se la gioventù compressa nel loro cuore zampillasse alto in immagini, non si potendo sfogare in altra forma; e in molte, col temperamento fisico, s’era visibilmente alterata anche l’indole dell’animo e la ragione. Ce n’era una che ogni tanto, per la minima cosa, si ribellava alla madre, strepitando, e allora era messa in castigo, come una scolaretta, tra l’uscio e il muro, dove rimaneva per delle ore immobile, piangendo, con le mani sul viso. Un’altra, di natura affettuosissima, malata, che aveva ottenuto il privilegio di ricreazioni straordinarie, correva avanti e indietro pel giardino, come una pazza, per delle mezze giornate, e la notte teneva sveglie tutte con una tosse terribile, che risonava da cima a fondo del monastero, come il ruggito d’una fiera. La notte, in quel luogo di pace, c’era meno pace che durante il giorno. La maestra aveva nella cella accanto una giovane bellissima, la quale chiamava in sogno la mamma, ch’era in America, trenta, cinquanta volte di seguito, con una voce d’una tenerezza e d’una tristezza che straziava il cuore. Oh! come se le sarebbe ricordate tutte per tutta la vita! Ma una sopra l’altre, una monachella che ogni mattina le portava il caffè a letto, con un viso bianco come il suo velo, con certe manine di bimba, dicendo sempre con lo stesso tuono di voce soave: — Deo gratia. Era giovanissima e delicata, aveva due occhi celesti che esprimevano un bisogno immenso d’amore, — e la guardava sempre, e pareva volesse dirle mille cose e non le diceva mai nulla. Costei un giorno, che le parea che la maestra dormisse, entrò in punta di piedi nella sua cella, le diede un bacio sulla fronte e scappò; e per quindici giorni non osò più di guardarla nel viso.

Qui il padron di casa mise un soffio, con certa ostentazione vanitosa, come per cacciare delle immagini che irritassero la sua virilità troppo sensitiva, e disse con affettata impazienza: — Torniamo alla ginnastica.

— Sì — rispose la maestra con un sorriso — torniamo alla ginnastica. Verso la fine del corso le mo-