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Le prime lezioni 25

zione. Venivano con le scaglie al viso e nel collo, coi panni imbrattati di terra e pieni di paglia, e si contendevano i posti a gomitate e a fiancate: poi si mettevan le mani in bocca e in capo, si grattavano il petto e le ascelle come scabbiosi, o s’asciugavano i visi sudati con le mani concie d’inchiostro, riducendosi come magnani; e chi si tirava su i calzoni a metà gamba, come per guadare un rigagnolo, chi alzava le ginocchia nude fino all’orlo del banco, chi masticava come un affamato la correggia di cuoio, e l’uno perdeva uno zoccolo, che cadeva con gran fracasso, e l’altro si lavorava l’unghie dei piedi. Il maestro provò la prima volta un certo senso di ribrezzo come davanti a un branco di porcellini. C’eran dei tipetti di futuri contadini ladri, diffidenti e cocciuti, certi musi di macacchi, che a primo aspetto, gli parve che si sarebbero dovuti tenere un mese in un gabbione, avanti di lasciarli sciolti nei banchi. E fu peggio quando s’accorse che il suo predecessore non doveva aver avuto alcuna autorevolezza, poichè i ragazzi della 2a, ch’erano stati suoi alunni, avevan tutti quanti la monelleria e l’impertinenza negli occhi come un’aria di famiglia. Gli toccava dunque, prima d’ogni cosa, riparare al male che aveva fatto il suo collega, e poi, rimandando a più tardi l’educazione intellettuale, veder di ridurre quei piccoli selvaggi a tenere, se non altro, un contegno di creature civili. Era un assunto serio. Ma era così vivo ancora il suo amore per l’infanzia, e il suo entusiasmo per l’insegnamento così fresco, e l’idea stessa di aver quella materia così greggia da lavorare stimolava così acutamente il suo amor proprio, che si mise all’opera con grande ardore.


Ma, Dio buono, quanto era più difficile di quello che s’aspettava! Egli si trovò a lottare sul bel principio contro una inerzia plumbea, che non era soltanto nei ragazzi, ma in ogni cosa. Egli era alacre, desideroso di procedere alla lesta in tutto; e tutto invece andava alla battuta della vita del villaggio, ossia con una lentezza da far disperare. Alle otto e mezzo doveva sonar