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L’ispettore igienista | 57 |
Il Ratti sospettò che volesse alludere al maestro Calvi, di cui aveva visitata la scuola prima della sua.
Osservando la proporzione degli assenti abituali con gli obbligati, scrollò il capo; da per tutto aveva trovato lo stesso. Quei due anni obbligatori di scuola si riducevano per la maggior parte a un anno scarso, di modo che prima dell’età della leva non avrebbero più saputo scrivere il loro nome. Si poteva ben dire di questa famosa scuola popolare: che diminuiva il numero degli analfabeti e accresceva quello degli ignoranti. Poi fece fare delle domande dal maestro, e quando questi passò alla grammatica, tentennò di nuovo il capo in atto compassionevole all’udire le definizioni e le regole che i ragazzi mettevan fuori stentatamente, con l’aria di ripetere delle parole d’una lingua straniera imparata a orecchio, senza comprenderle.
— Sta bene, — disse, — lei fa quello che può. Vediamo ora se sanno anche un poco di cose inutili.
E fece egli stesso delle domande semplici e chiare intorno a cose pratiche, in specie d’igiene: del modo di purificar l’acqua, di aversi riguardo in certi casi agli occhi e agli orecchi, di preservarsi da certe malattie in certe condizioni atmosferiche, di prestare i primi soccorsi in caso di cadute e di ferite, e simili cose, delle quali i ragazzi erano digiuni affatto.
— Insegni anche un poco di queste volgarità, signor maestro, — disse, — che non sarà tempo buttato via.
E con maraviglia del giovane, entrato in mezzo ai banchi, invece di esaminare i quaderni, esaminò i colli degli alunni, gli occhi e le dentature, corrugando la fronte in segno di malcontento. E disse: — Una tinozza alla porta di ogni scuola, con due getti d’acqua e del sapone: questo io metterei prima della ginnastica.
Poi, tornato vicino al maestro, invece di fare il solito discorso sullo studio, raccomandò ai ragazzi di sciacquarsi i denti e di lavarsi la bocca due volte al giorno. E sul serio, mentre i ragazzi credevan che celiasse, con accento affabile, spiegò loro come facevano i Giapponesi, anche la più povera gente, per conservarsi quelle bellissime dentature: si strofinavano i denti con le dita, empiendosi la bocca d’acqua, e sbattendola dentro con la lingua, soffiandola, schizzandola fuori con tanto strepito, che i servitori, nel far quel