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Il collega Labaccio 39

tuosa. Ogni sforzo ch’egli fece per ricondurla all’intrinsichezza di prima fu inutile, e a capo a un certo tempo, scoraggiato, vi rinunziò. Conoscendo la sua fermezza incrollabile, si persuase d’esser caduto irreparabilmente dalla sua stima, e che nulla gli restava più da sperare. Tornò a trovarsi solo come un morto in quella casa, buttò i libri in un canto, gli riprese la tristezza nera che l’aveva cacciato alla bettola, e qui sarebbe ricascato forse, se non l’avesse tenuto su ancora la buona amicizia della signora Samis e di suo marito, ch’egli continuava a visitare, benchè men sovente che per l’addietro. Per sua fortuna, venne a distrarlo un piccolo avvenimento, che lo mise per alcuni giorni in una nuova corrente di pensieri.

S’era appena seduto a tavola, una mattina, per mangiar la sua magra colazione, quando la vecchia serva gli venne a presentare un biglietto di visita. Egli scattò leggendo: — Giovanni Labaccio, maestro primario, decorato della menzione onorevole dalla Società di Mutuo Soccorso degli insegnanti italiani, membro della Società dei benemeriti di Palermo. Eran cinque anni che non lo vedeva! Mentre si slanciava per andarlo a prendere sul pianerottolo, quegli comparve sull’uscio.

Il giovane gli gettò le braccia al collo e lo baciò: quegli rese il bacio senza scomporsi, e gli domandò placidamente, come se si fossero visti il giorno innanzi: — Come stai. Ratti?

— Ah! come sei sempre lo stesso! — esclamò il Ratti, ridendo e guardandolo, mentre lo tirava per una mano in mezzo alla camera. Quell’apparizione dell’antico collega gli cacciava dal capo ogni malinconia e lo ringiovaniva d’un lustro.

Il collega, in fatti, non era gran che mutato: era più grasso e più pari pari nei suoi movimenti, ma sempre con quella faccia sbarbata, con quell’aria di buon priore di convento: vestito pulitissimo, col collo stretto in un solino insaldato e diritto, che lo faceva stare col capo alto.

Come il Ratti aveva immaginato al primo vederlo, egli era venuto nella valle per la morte di suo zio, sindaco d’Azzorno, e di qui, dopo aggiustati i suoi affari, aveva fatto una scappata per riveder l’amico. Il Ratti gli fece le sue condoglianze; ma quegli l’interruppe