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38 L’ultimo anno ad Altarana

di stocco. La signora, chiamata da un telegramma del marito, era partita a mezzogiorno per Torino col ragazzo e tutto il suo seguito, per non ritornare che l’anno dopo. Chi l’avrebbe detto due giorni innanzi che a una notizia simile sarebbe stato addolorato e avvilito come del tradimento di una persona amata da anni! Solo, col capo basso, tormentato nel corpo e nell’anima da quei ricordi che poco prima l’inebbriavano, egli se ne tornò a casa, oppresso da un tale sgomento della solitudine e del vuoto che l’aspettavano, che, appena entrato, s’affacciò al terrazzino, e vi stette aspettando la vicina con l’animo in ansia, preso da un bisogno imperioso di riconfortarsi nella sua buona compagnia, di mettere la sua cara amica fra sè e quella immagine, come per nasconderla al suo pensiero, e quetare i sensi accesi in un sentimento dolce ed onesto. E quando essa comparve la salutò con viva espansione, con uno sguardo e un sorriso quasi di preghiera, porgendole la mano. Ma la maestra non gli tese la sua, e lo guardò freddamente. Un sospetto gli balenò subito: la cravatta, la maestra Falbrizio.... Ah! non c’era dubbio; la Falbrizio lo aveva denunziato. Che cosa dirle? Come uscirne? Mentre cercava, quella gli disse lentamente, guardandolo: — Ora lei dà delle lezioni nei chioschi, non è vero? — E prima ch’egli trovasse una risposta, scrollò il capo con tristezza, e senza salutarlo, rientrò.


IL COLLEGA LABACCIO.


Così egli rimase con una doppia ferita nell’anima; confortato da un pensiero però: che il risentimento della sua amica non potesse nascere che da un senso di gelosia, e questo da un principio d’amore; e in questa fede stette a aspettare che, cadendo l’una, si scoprisse l’altro. Ma aspettò inutilmente. Dopo alcuni giorni, la maestra gli riprese a parlare, ma non più nel modo di prima; più di rado, con un senso come di ripugnanza che non le riuscisse di nascondere, e con un accento come d’amicizia delusa o diffidente, scansando quasi di mal garbo ogni discorso di natura intima e affet-