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Una sorpresa 29

UNA SORPRESA.


Il giorno dopo il maestro andò a dar la prima lezione.

La villa aveva davanti un giardino sparso di piccole aiuole di fiori, e in un angolo del giardino, un padiglione da prendervi il caffè, di forma esagonale, con quattro finestre chiuse da persiane verdi, e un tetto conico di zinco. Entrando, il giovane vide vicino al padiglione la maestra Falbrizio che confabulava amichevolmente con la cameriera, e offeso nel sentimento del suo decoro professionale da quella familiarità d’una collega con una persona di servizio, passò, fingendo di non vederla. Un servitore sbarbato lo fece entrare nella stanza turchina, attigua al salotto, che si vedeva per lo spiraglio dell’uscio. Era una casa ricca e disordinata, piena di bei mobili velati di polvere, con giornali di mode, ventagli, giocattoli sparpagliati per i sofà e per le seggiole. Quando comparve la signora col ragazzo, non si trovò il calamaio, e dovettero chiamare il servitore, che andasse a prendere il suo. La signora si credette in dovere di assistere alla lezione, sedendo accanto al tavolino, dalla parte opposta al maestro, in atteggiamento d’attenzione grave. Bastarono dieci minuti al giovane per conoscere il suo scolaretto: era molto indietro, stava a sentir la lezione pigliandosi fra le mani ora un ginocchio ora l’altro, rispondeva francamente: — Capitissimo! — ad ogni domanda: — Ha capito? — e aveva capito a rovescio, e quel ch’era peggio, insisteva nelle sue papere mettendo innanzi cavilli e barattando le parole con una impudenza di avvocato briccone. La signora s’alzò e scomparve due o tre volte per qualche minuto. In uno di questi intervalli il maestro udì delle risa dietro ad un uscio che non aveva ancor visto, e un rumore sordo come d’una lotta, in cui riconobbe la voce del servitore, che doveva pizzicottare la cameriera; poi sentì sonare il pianoforte nel salotto. La signora gli venne a domandare se quel suono gli dava noia, dicendogli ch’era la