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26 L’ultimo anno ad Altarana

Però, come fare a portar il bimbo in Liguria con quella poverissima paga, che non gli permetteva di fare il più piccolo risparmio? Il maestro era sconsolato. Ma sua moglie, ancor molto giovane, aveva venduto di nascosto le sue poche bricciche e gli ori di sposa, e una sera, mettendogli il danaro in mano, gli aveva detto: — Ecco di che andar sul mare per quindici giorni col nostro Beppino. — E il maestro era partito il giorno dopo, portandosi il bimbo in spalla fino al capoluogo del mandamento, per risparmiar la spesa della carrozza. — Queste non sono cose di romanzo, signori, — concluse il professore.

I commensali gli domandarono degli altri insegnanti, che aveva trovato più su, risalendo la valle.

Ahimè! Quanto più s’andava in su, tanto peggio si trovava: era come un’ascensione verso la sommità delle miserie. Dopo il maestro di Stacco c’era quello della madre terra. Poi ne aveva trovato un altro, già avanzato negli anni, il quale durante l’inverno, non potendo riscaldare abbastanza la scuola, faceva le sue lezioni in una stalla, e gli scolari scrivevano coi lapis, che un contadino temperava col falcetto, per cortesia. Più su ancora aveva trovata una maestrina montanara, con la sottana di panno scarlatto, che portava bravamente il cestone sulle spalle, e che nei peggiori mesi dell’anno andava a dar lezioni da una borgata all’altra, armata d’un bastone d’alpinista, con gli stivali di paglia e le racchette ai piedi; e aveva per scuola, poveretta, una specie di cantina, dove, mancando i banchi, varie alunne sedevano sopra dei sassi, e quando la neve s’ammontava contro le finestre e contro l’uscio, dovevan scappar tutte per non morir soffocate. Al sommo della valle, finalmente, all’ultimo confine del mondo abitato, sotto alla regione delle nevi eterne, c’era ancora un maestro prete, che aveva una catapecchia di scuola stretta fra la chiesa ed il cimitero; una figura di vecchio anacoreta, con la sottana verde e le scarpe rotte, il quale viveva di patate e di carne di marmotta, in compagnia d’una vecchia serva disfatta e lacera, che gli fasciava i piedi con dei cenci quando faceva lezione. E questi era l’ultima espressione della miseria degli educatori del popolo, dopo la quale non c’era più che la morte.