Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/283


In casa Samis 21

china. Questa sarebbe la sua conclusione. Io la crederei il peggiore degli errori. Noi non pretendiamo d’aver cinquanta mila maestri perfetti; pretendiamo, cerchiamo in tutti i modi di scemare il numero dei pessimi. Non facendo nulla, è inevitabile, se non altro, che questo numero rimanga qual è; ma io ritengo che crescerebbe. Bisogna dunque far qualche cosa. Salvo il caso che ella mi sostenga che maestri, istruzione popolare, scuole, tutto debba lasciarsi andare a rotoli insieme, perchè tutto è inutile, e l’educazione dell’infanzia un’utopìa.

— Oh senta! — gli rispose il padrone di casa, stuzzicato dalla contraddizione recisa; — io non le dico che sia un’utopìa.... perchè non lo credo. Ma quello che credo, e fermamente, è che intorno all’azione educativa della scuola noi ci facciamo delle grandi illusioni, come in tante altre cose. Io capisco l’educazione dell’esempio, la buona impronta che posson lasciare nell’animo dei ragazzi certi fatti, certi caratteri o modi di vita dei loro parenti e dell’altre persone con cui convivono o che frequentano. Io ho conosciuto un giovanetto discolo mutato di così a così da un atto nobile di suo padre; il quale, nel punto che gli si spezzava sotto i piedi il ramo d’un ciliegio molto alto su cui era salito, ed era certo di rompersi nella caduta un braccio o una gamba, invece di pensare a sè, accennò col dito sulla bocca al figliuolo che stava sotto, di non gridare, perchè non si spaventasse sua madre che stava in fondo al giardino, e pativa di mal di cuore; e venne giù, e si ruppe una gamba, continuando a accennare: — Silenzio. — Io credo nell’efficacia educativa di queste cose. Ma nell’educazione morale della scuola, che consiste tutta in parole! Le parole non fanno nessunissima impressione sui ragazzi quando non sono affermate dai fatti che essi vedono in casa e fuor di casa. Ora i fatti che essi vedono non solo non convalidano, ma smentiscono continuamente le parole che sentono. A otto anni capiscon già il gioco, tutti quanti, che è un proposito generale di parenti e maestri, di render loro migliori di quello che essi furono e sono, e capiscono che ad ottener questo fine essi insistono tanto più con le chiacchiere quanto meno possono addurre ad esempio sè stessi. E allora è finita.