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18 L’ultimo anno ad Altarana

lavoro alle ragazze. Tutte han trovato che convien di più lavorar le stuoie che i cuori.


Ogni settimana l’avvocato invitava a pranzo gli amici: una domenica d’agosto fu invitato anche il maestro Ratti, e quel pranzo diede occasione a un’avventura che rimase memorabile nella sua vita. Gl’invitati erano una diecina. Fra questi si trovava un professore di Torino, un bell’uomo di cinquant’anni, con uno di quei visi composti e lisci, contornati d’una capigliatura e d’una barba che paion finte; i quali ricordano le reali e imperiali teste di cera che si fanno vedere nei baracconi. Egli dirigeva a Torino una officina a vapore di libri scolastici, dove lavoravano, col guadagno dell’un per cento sui profitti, tre o quattro professori e maestri giovani, pieni d’ingegno e d’appetito, ai lavori dei quali l’impresario non faceva che dar l’ultima mano, o piuttosto l’ultima pedata, ed apporre, come una marca di fabbrica, il proprio nome. Tornava da una gita nella valle vicina, dove aveva cercato presso tutti i maestri certi dati scolastici per un lavoro che teneva sul telaio, poichè egli apparteneva a quella folta schiera di professori che dedicano un quarto del loro tempo alla propria scuola e gli altri tre quarti alla riforma generale dell’istruzione pubblica. Ma, sotto a un gran disordine d’idee monche d’abborracciatore, v’era in quella testa di cera un certo buon senso d’uomo nato all’industria e fuorviato nelle lettere, e nel suo linguaggio un po’ leccato non mancava l’arguzia. Egli aveva il posto d’onore accanto alla signora Samis, e di fronte a questa stava una signora giovane, la sola invitata, moglie d’un fabbricante torinese di polsini e solini, la quale aveva ai due lati un ragazzetto e una bambina, vestiti in gran lusso, coi capelli giù per le spalle e le gambe nude.

La conversazione fu vivace fin da principio, grazie alla stizza eloquente del padron di casa, ch’era stata provocata, come al solito, da un’inezia. La mattina, per la strada, gli era passato accanto quel fante di picche del sindaco con un certo sorriso fatuo sulla faccia, il quale gli aveva fatto pensare che gli fosse toccata qualche soddisfazione d’amor proprio, di cui supponesse lui, Samis, consapevole e invidioso; e in-