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Dal provveditore 251


— Come ha osato — gli domandò — presentarsi a me in codesto stato? È già arrivato al punto di non aver nemmeno più coscienza dei propri eccessi?... Io ho esitato a credere ai miei occhi, vedendola. Ho conosciuto alla scuola normale un bravo e buon giovane, uno dei pochi che mi parevano chiamati a esercitare nobilmente la professione del maestro, e gli ho voluto bene, non l’ho dimenticato, e desideravo di rivederlo. Ma lei non è più quello. Come ha fatto a sciuparsi così in cinque anni? Da quanto tempo non studia più? È in codesto stato che si presenta ai suoi ragazzi? Faccia uno sforzo, almeno, prima d’andarsene: mi dica almeno che non è un pezzo che ha abbandonato la buona strada, e che il suo traviamento non può essere che un brutto intervallo nella sua vita.

Ciascuna di queste parole strappò un velo dalla mente del giovane, e gli diede un impulso a parlare; ma la vergogna e la commozione gli tenevan legata la lingua.

Il provveditore gli si avvicinò: — L’affare del soprintendente, — riprese, — è cosa da poco: lo potrò accomodare. Quello che è grave è che lei non è più un maestro. E non lo dico soltanto per il suo stato presente: io capisco bene che anche fuori di questo la sua intelligenza non è più quella di prima, che la sua vita è mutata, e che la sua scuola dev’essere in disordine, perchè lei non la cura e non l’ama più. Non ho bisogno di domandarlo a nessuno. Così ha corrisposto all’ultima raccomandazione di sua madre? Dove l’ha messa, signor Ratti, quella lettera?... L’ha perduta?

Il giovane si mise una mano sugli occhi; poi l’abbassò, mostrando il viso bagnato di lagrime, e rispose con voce concitata: — L’ho ancora, signor direttore! Perdoni se mi son presentato in questo stato. Non mi giudichi troppo male. Può veder le relazioni degli ispettori, se ho fatto sempre il mio dovere in questi cinque anni. Posso dire che lei stesso non avrebbe avuto da farmi nessun rimprovero. Ho cercato anche di studiare. Poi vennero le persecuzioni, ho avuto dei dispiaceri, e ho cercato di cacciarli. Ma son pochi mesi. Sono ancora in tempo a tornare indietro. Consideri cos’è stare in un villaggio.... Se s’è presi in odio, non c’è nessuno a difenderci e a consigliarci; metton su i ragazzi contro il maestro; ci avvelenan la vita. E