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Dal provveditore 249

l’aria trionfante, altri venivan fuori col capo basso, borbottando; una maestrina uscì col fazzoletto agli occhi. La processione non finiva mai. La suora di carità ci stette mezz’ora, e scappò di corsa, senza lasciar vedere nel viso. Essendo rimasta vuota una seggiola, egli sedette, e si tornò a addormentare. Quando riaprì gli occhi, si sentì peggio di prima, con la mente confusa di pensieri tristi, con la coscienza avvilita d’un colpevole che sta per presentarsi al tribunale, preso da un malessere, da una stanchezza rotta di tutte le membra, che gli pareva avrebbe stentato a percorrere il corridoio. Tornò a chiuder gli occhi e si risvegliò di sobbalzo. L’usciere aveva pronunziato il suo nome.

La mente gli si chiarì tutt’a un tratto; ma nel rispondere: — Presente! — egli intaccò e nell’attraversare il corridoio, dovette misurare il passo. L’usciere gli aperse l’uscio, sogguardandolo con diffidenza: egli si fermò sulla soglia, col cappello in mano, cercando con gli occhi il provveditore.

Questi stava ritto accanto al suo tavolino, con le spalle rivolte alla finestra, che dava sui portici. La luce, lasciando il suo viso nell’ombra, colpiva in pieno il maestro.

— Venga avanti, — gli disse il provveditore.

Il suono di quella voce lo stupì.

S’avanzò fino al tavolino, e il provveditore voltandosi verso di lui, si trovarono faccia a faccia.

Era il Megári.

Non aprendo più da molto tempo i giornali scolastici, egli ignorava che il provveditore di Torino era stato chiamato improvvisamente alla direzione dell’istruzione elementare presso il ministero dell’istruzione pubblica, e che il Megári, provveditore in Alessandria da un anno, era venuto a sostituirlo fino al suo ritorno.

Alla prima maraviglia succedette in lui un impeto del cuore che gli fece muovere un passo e tender la mano.

Ma il provveditore lo guardò e non si mosse. Quel ritegno lo atterrò. Egli si sentì addosso quello sguardo scrutatore, e fissò gli occhi sul tavolino.

Ma la prima domanda del Megári non ebbe accento di rimprovero. Parve che egli avesse un altro pensiero da quello che esprimeva con le parole. — Che cosa ha avuto col suo soprintendente, signor Ratti?

L’accento di quella voce severa ricordò al giovane