sentirsi più forte la mattina appresso contro l’assalto abituale della tetraggine. E la mattina e la sera, per quetare i suoi rimorsi di maestro, mentre beveva, eccitava sè stesso a dileggiare la sua professione, con tutti i luoghi comuni che aveva intesi e letti in quei cinque anni. Com’era stato corbellato! Metteva conto davvero d’essersi pasciuto per tanti anni di tanta poesia, per andar poi a finire affogato in una tal prosa! In quel modo s’attiravano i giovani di cuore all’insegnamento primario come le ragazze dagli incettatori, i quali prometton loro di collocarle in città da una famiglia per bene, e poi le conducono in una casa di tolleranza! E così tutti gli ideali gli cadevan l’un dopo l’altro dal cuore nel bicchiere: l’infanzia, che gli scriveva sui muri del villaggio: — Vattene via! — la patria che gli chiedeva mille sagrifizi e lo pagava come uno spazzino, la religione.... La religione dominante era quella del parroco di Piazzena! E beveva. E non aveva altro conforto. Aveva tentato due o tre sere, rientrando in casa, di sfogare con la penna l’amarezza delle sue delusioni e il suo sdegno contro il mondo; ma s’era persuaso che neppure quel sollievo gli era concesso. No, non bastava possedere la verità, la ragione e la passione; ci voleva anche l’arte; se no, per chi scrivere? E l’arte gli mancava. E lo prendeva un profondo disprezzo, allora, per tutti quegli studi aridi e pedanteschi in cui aveva speso tante fatiche, e che gli servivano così poco nella scuola, e fuor della scuola men che nulla. E con un sorriso prolungato d’uomo brillo guardava la raccolta dei quaderni della Scuola normale, disposti in uno scaffaletto, come un mucchio di menzogne e di sciocchezze. Una sola immagine, in mezzo ai ricordi dei suoi studi inutili, gli imponeva ancora rispetto ed amore, anche in quei soliloqui scorati dall’ebbrezza: quella del suo professore Megári. Sì, quello era persuaso della verità di ciò che insegnava, non mentiva; quello l’aveva amato. Egli lo rivedeva come l’ultima volta, quando gli aveva dato la lettera di sua madre, vestito di nero, con quel viso pensieroso e nobile. Quanto l’avrebbe rivisto volentieri! Gli pareva che egli solo l’avrebbe potuto rifare quello di prima.... ma forse neppure lui. Oramai era tardi. Aveva perduto la sua bella fede per sempre. Non gli rimaneva