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238 Altarana

tutta la viltà che aveva visto, gli svaniva subito dall’animo quel principio di vergogna e di rimorso. C’era là un vecchio barbiere e pescator di trote, già stato suo alunno serale, che lo ricreava con una certa critica buffonesca degli amministratori del comune, tutta fiorita di paragoni e d’immagini cavati con molta arguzia dai due mestieri che esercitava; c’era un vecchio fattore, un tagliapietre, il marito della maestra Falbrizio, spaccalegna, un grosso grullo, che rideva come un ragazzo; tutti al corrente di tutte le brache del paese; e questi, quando non giocavano, non facevan che passare una specie di rivista di sotto in su dei signori del villaggio, scoprendo mille tacche ridicole o magagne ributtanti; delle quali il giovine sentì nausea da principio, poi curiosità, e in fine un’acre compiacenza, come d’una vendetta. Lì, se non altro, contava per qualche cosa: gli antichi alunni lo trattavano ancora con deferenza d’inferiori, ora l’uno ora l’altro gli chiedeva il significato d’una frase del giornale, e il più delle sere egli ne usciva soddisfatto, rallegrato anche dalla certezza che avrebbe preso sonno appena abbandonato il capo sul cuscino. Lo molestava soltanto il pensiero di dover passare davanti all’uscio della maestra, e vedere il cancello del terrazzino; che di notte, e dopo aver bevuto gli era una vista intollerabile; e spesso beveva un bicchier di più per potere affrontar quel passo con indifferenza. Beveva senza piacere, in fretta, come avrebbe ingollato delle medicine: non amava del vino che gli effetti. E neanche aveva bisogno di trasmodare, poichè sul suo sistema nervoso di natura delicato e assuefatto alla temperanza, l’alcool produceva un effetto immediato e durevole, che era ancor vivo la sera appresso, quando egli andava a bere per rinnovarlo; un effetto fisico brusco, profondo, non accompagnato da una schietta allegria, ma da un disordine tumultuoso d’idee strane, tristi e liete, di proponimenti audaci e puerili, e quasi di conversazioni, di dibattiti, come di varie persone che gridassero dentro di lui, senz’essere intese di fuori, e ch’egli ascoltava con stupore, e talvolta con isgomento, come avrebbe sentito il passo e le voci di gente sconosciuta in casa sua. A sere usciva dall’osteria d’umor fosco, calcolando a stento sulle dita quanti e quali libri, di quelli che de-