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Di peggio in peggio | 217 |
alunni più grandi, egli cominciò a sospettare che parlassero di lui e di lei. Di diffidente diventò in breve irritabile. Si lasciò sfuggir coi ragazzi degli epiteti che non gli erano mai usciti di bocca, e che rimasticava dopo la lezione, con amarezza, pentito d’averli detti. Prese a scansare, quasi con repugnanza, tutti quegli argomenti, trattando i quali gli uscivan prima dal cuore delle parole d’entusiasmo e d’affetto, poichè sentiva che quelle parole non gli sarebbero più venute alle labbra, o avrebbero reso un suono falso. E l’accorgersi che i più grandi, con una finezza incredibile per l’età loro, coglievano a volo ogni frase o parola ch’egli dicesse o leggesse, la quale si riferisse anche lontanamente o presentasse un grossolano e informe equivoco relativo all’amore e alla donna, lo mise in un imbarazzo continuo e affaticante, che gli rendeva la scuola molesta e uggiosi gli alunni. Ah! come tutto era mutato!
DI PEGGIO IN PEGGIO.
Il contegno altero della maestra, e anche più la fiducia ferma ch’essa mostrava d’avere nella vittoria, spinsero l’esasperazione del sindaco agli estremi, e gli fecero vibrare un gran colpo. Andata la maestra una mattina per far scuola, si sentì come una puntata in mezzo al cuore: l’uscio della sua classe era chiuso. L’inserviente comunale, nella strada, aveva rimandato a casa le prime alunne venute, e stava rimandando le ultime. La ragazza, tremante e pallida, lo interrogò. Quegli, senza neppur toccarsi il cappellaccio, le rispose con la sua voce insolente di galletto: — D’ordine superiore, — e non aggiunse altro. Essa ritornò a casa sbalordita, e nondimeno confortata alquanto dal pensiero stesso della enormità del sopruso, il quale sarebbe cessato, certamente, appena fosse giunto dal Consiglio scolastico l’ordine d’annullare il licenziamento; ordine che non poteva esser dubbio. La sera si consultò col Ratti, più calma. Essa voleva scrivere al provveditore. Il maestro la consigliò invece ad aspettare,