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Licenziata 213

del Consiglio scolastico. Passarono dieci giorni d’aspettazione ansiosa dalle due parti, durante i quali si disse ch’era venuto in paese un personaggio misterioso a chieder ragguagli, ma che non fu visto nè dal maestro, nè dalla maestra, nè dal sindaco. Finalmente, arrivò un decreto del Consiglio di Torino che ordinava l’annullamento della deliberazione sindacale. E il Consiglio comunale l’annullò. Ma il sindaco perdette i lumi. A capo d’una settimana, la maestra ricevette l’annunzio ch’era licenziata.


LICENZIATA.


Era uno sproposito peggior del primo poichè, senza addurre nuovi motivi, s’infliggeva una nuova e maggior punizione a un’insegnante già dichiarata immeritevole d’una punizione minore. La maestra, più tranquilla questa volta, ricorse da capo al Consiglio scolastico perchè fosse annullato il licenziamento, e intanto continuò a far scuola. Ma le cose eran mutate, l’inimicizia del sindaco aveva cominciato a produrre i suoi effetti. Vari parenti che già mandavan le figliuole a scuola di mala voglia, fatti certi oramai che il sindaco non li avrebbe più denunziati al pretore per una trascuranza che gli poteva parer disprezzo per la sua nemica, tennero le figliuole a casa. E la maestra vide, pur troppo, nel viso dell’altre alunne, e nel loro contegno, un riflesso dei discorsi, chiari o velati, che si facevano a carico suo nelle loro famiglie: dei sorrisi maliziosi negli occhi delle più grandi, e apertamente malevoli sulle labbra delle triste; e nello sguardo di quelle buone, che le erano affezionate, una vaga pietà, una certa curiosità inquieta, come se aspettassero da un momento all’altro ch’ella dicesse qualche cosa, che sfogasse in loro presenza il suo dolore o il suo sdegno. Ella si sentiva bene la forza di lottare con le autorità, senza paura; ma quel mutamento della sua scolaresca, che parea le sedesse davanti come a giudizio, e nella quale ella capiva ch’era sempre presente un pensiero estraneo alla scuola e diretto a lei, le dava un dolore indicibile,