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Gli “umiliati„ del villaggio 193

soprattutto una sera che uno dei suoi amici gli mise sott’occhio la Gazzetta piemontese, in cui si parlava d’un banchetto dato nel vicino comune di Azzorno al deputato del collegio, e si diceva che alle frutta era stata declamata da una bambina delle scuole, messa ritta sulla tavola, una lunga poesia in sua lode, scritta da uno dei suoi grandi elettori. L’avvocato fece un sorriso sardonico, preludio d’una carica. Infatti, si scagliò contro l’uso invalso di servirsi dei bambini per incensare i pezzi grossi con recitazioni di versi e di prose fatte apposta. Era una cosa che gli dava allo stomaco. — A sindaci, a deputati, a ministri, a principi, — diceva, — a tutti coloro da cui si spera e si vuol qualche cosa, ora è venuto di moda di far leccar le scarpe dai ragazzi. Una doppia porcheria, perchè la fanno fare da innocenti che non capiscono il senso di quello che dicono, nè i secondi fini di quelli che li imboccano. Abbiate almeno il più facile di ogni coraggio, perdio, che è quello della cortigianeria! Che bassezza essere i mandatari dell’adulazione! E pigliare i complici sui banchi degli asili infantili e delle classi elementari, dove si vuole educare il carattere alla dignità! Io non capisco come i personaggi che si senton gridare in faccia i titoli d’illustre e di grande dalla bocca d’un bambino ammaestrato per l’occasione, nel modo che s’ammaestran le scimmie a servire i dolci sul vassoio, possano starlo a sentire con la fronte alta, e non gli chiudan la bocca arrossendo, come fa la madre al figliuolo di sei anni quando ripete una sudiceria intesa da una baldracca per la strada. È la prostituzione dell’infanzia, l’arruffianamento della scuola. Se fossi ministro dell’istruzion pubblica lo proibirei come si proibisce il commercio delle stampe oscene. —

Se la pigliò un’altra volta con uno dei villeggianti, il quale rinfacciava ridendo al Consiglio e a lui con gli altri, che il parroco l’avesse spuntata ancora una volta di far sparare i mortaletti il giorno della festa patronale, non ostante che fosse accaduta l’anno prima una disgrazia. — Siete un mucchio di liberaloni — gli disse l’amico — che avete il mestolo in mano, e vi lasciate dettar la legge dal reverendo. — E perchè no? — gli rispose l’avvocato, un po’ punto. — Io trovo

Il romanzo d’un maestro. — I. 13