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piccole sevizie che per tentar di schiudere nuove vie alla scienza dell’educazione. Corrispondente indefesso di vari fogli scolastici, ai quali mandava progetti e articoli di ogni specie, egli scriveva nella scuola le sue lettere e le sue dissertazioni, leggeva giornali, tracciava disegni, meditava: sul suo tavolo di maestro c’era un arruffio di libri, di scartabelli e di foglietti, mescolati a boccette d’inchiostro di vario colore, a pezzi di sigaro, a fazzoletti, a piccoli oggetti di museo pedagogico, fabbricati da lui; e i ragazzi, per naturale tendenza all’imitazione, facevan dei banchi tante bottegucce, in cui portavano un po’ d’ogni cosa. Con tutto questo egli piaceva al sindaco per la continua varietà dello proposte che sottoponeva al suo giudizio, e che quegli approvava tutte senz’attuarne nessuna. Ora era un comitato da istituirsi per la diffusione dell’istruzione popolare; ora una “festa intellettuale„ da celebrare a benefizio della cassa scolastica del comune; un’altra volta un esperimento da tentarsi in pubblico di certi esercizi di corsa vocale, com’egli li chiamava, che consistevano nel far correre gli alunni recitando certe poesie fatte apposta; ciò che avrebbe fornito dei dati eccellenti per studiare gli effetti del movimento accelerato sugli organi della voce e della memoria. Assorto in questi pensieri, ei non parlava mai, come gli altri maestri, delle miserie della sua professione, e forse non le sentiva: era un progettista disinteressato. D’altra parte, stava lavorando da un pezzo intorno a un nuovo sillabario, un’idea affatto nuova che, riuscendo, l’avrebbe fatto celebre e agiato. In quei giorni poi s’occupava in particolar modo d’un’altra idea, ch’era di proporre per libro di lettura unico ed universale nelle scuole primarie del Regno il Codice Penale; e ogni volta che vedeva il maestro Ratti glie ne parlava a lungo, dimostrandogli come quello, opportunamente diviso per le varie classi, illustrato con disegni e commentato, presentasse tutte le qualità richieste da un libro di lettura perfetto per le scuole del popolo. E d’altri progetti parlava al giovine, badando sempre a dirgli con un’occhiata espressiva — È un’idea mia — per fargli intendere che glie la confidava col patto tacito ch’egli rispettasse il diritto di proprietà; e soggiungeva: — Non ne dica nulla a nessuno, per ora. — In questo suo mondo d’idee viveva soddi-