di maestro quel soldatone muscoloso, che a vent’otto anni ne dimostrava quaranta, con quei due occhioni che gli uscivan dal capo, con quei due pugni che parevan due mazze, con quella voce di cannone da piazza, e quel viso da spauracchio di ragazzi, nessuno lo riusciva a immaginare, tanto più ch’era di natura impetuosa e collerica a segno che, quando alla scuola di tirocinio, rispondendo alla critica ragionata della sua lezione fatta da un collega, si metteva il pugno sotto il naso, come di solito, e sgranava gli occhi accesi, il collega faceva sempre un passo indietro, per prudenza. E riusciva anche più strano che avesse presa quella carriera perchè pareva dominato da un’avversione istintiva per la ragazzaglia, nella quale immaginava degli abissi di perfidia, in modo che alla scuola pratica credeva di scoprire ogni giorno, dal come lo guardavano, un ragazzo che l’odiasse a morte, e fissava ora l’uno ora l’altro con l’aria provocante d’un duellista, come avrebbe guardato degli uomini, e ne parlava dopo con calore, trattandoli di mascalzoni e di faccie da schiaffi. Ma piaceva a Emilio Ratti per la grande sincerità dell’animo ed anche per un certo acume e per il buon senso che spiegava nelle materie di studio, quantunque nascesse disaccordo subito tra di loro, quando dalla Scuola cadeva il discorso sulla professione; poichè di questa aveva il Lérica un concetto diverso al tutto dal suo, vagheggiando egli una vita battagliera, in cui avrebbe fatto tremare sindaci e parroci, portati di peso fuori dalla scuola parenti indiscreti e inservienti comunali villani, e cacciati gli scolari rivoltosi dalla finestra. A tenere un poco in freno questo toro furioso l’aiutava l’altro compagno, Giovanni Labaccio, un grassotto di statura media, con una faccia sbarbata e placida di buona memoria, assestato in ogni cosa come un vecchio impiegato in ritiro che non si lagnava mai di nulla e dava ragione a tutti, acconsentendo con un sorriso prudente alla maldicenza; diligente negli studi senza passione, ottimo calligrafo, mangiatore lento e leccone, contento sempre come se nella professione di maestro avesse assicurata una vita comoda e felice, piena di vantaggi e di piaceri riserbati a lui solo; e continuamente rallegrato dal pensiero d’una piccola eredità che aspet-