Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
146 | L’ex granatiere |
avrai il piacere di veder Labaccio, che correrà a prendere l’eredità. E giusto, a Azzorno, c’è un mio cugino maestro. Ah! sono bene informato! Troverai a Altarana una bella maestrina, a cui mio cugino gira attorno. Ci troverai anche un sindaco conquistatore, un sottaniere numero uno.... Ma se te lo dico che son tutti porci.
Il Ratti gli domandò curiosamente se non sapesse altro. Non sapeva altro: gli aveva scritto una volta sola suo cugino. Un cacciatore anche lui! — Del resto — soggiunse — tu hai un becco da soppiantarlo. Chi sa quante n’hai fatte, piccolo gesuita, con quei baffetti! E col tuo cuore! Maledizione, e io son nato con questo muso di rinoceronte! — e si diede del pugno sotto il mento.
Intanto erano arrivati in piazza San Carlo, che imbruniva; e lì il granatiere, data un’occhiata intorno e all’orologio: — Caro Ratti, — disse con voce raddolcita, mi rincresce che debbo lasciarti qui. Parto domattina col primo. Debbo ancora passare la notte in una latrinaccia di locanda, dove dormo coi piedi fuor del letto. Ho piacere d’averti visto. Sai che t’ho sempre voluto bene. Scrivimi. Se un giorno riceverai una lettera col bollo delle penitenziarie saprai che è di Carlo Lérica, che ha demolito un municipio. A rivederci.
Il Ratti si dovette alzare in punta di piedi per baciargli la guancia, e fu punto da un baffo nel naso, come da un colpo di spazzola. Poi il granatiere s’andò ad appostare dietro a un pilastro dei portici, e il giovane prese la via della stazione, impaziente di levarsi di mezzo a tutti quei lumi, a quelle case alte, a quel formicolìo di gente sconosciuta, che gli opprimeva l’animo, raddoppiandogli il sentimento della sua piccolezza e della sua solitudine.