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L’ex granatiere 137

dica più nulla, o mi metto a taroccare come un turco, finisco a guastarmi il sangue.

Invitò il Ratti a far colezione con lui. Il Ratti si scusò, dicendo che voleva ripartire col treno del tocco. Ma il granatiere lo abbrancò pel braccio e lo spinse avanti come un bambino, dicendo: — Andiamo, per una maledetta volta che c’incontriamo in questa vitaccia di cani frustati: o vieni o ti porto!

E lo fece svoltare in via Dora Grossa, per condurlo ai Tre bastoni. Il Ratti gli domandò se aveva notizie del collega Labaccio.

— Ah! Labaccio! — esclamò il granatiere esilarandosi. — Eccone uno che è nato fatto per fare il maestro! Quello lì sì che ha indovinato la sua strada! — Ne aveva notizie, sicuro; s’erano scritti il primo anno, e glie ne aveva parlato un mese innanzi un collega, lungamente. Era maestro da tre anni nel comune di Stalora, dove aveva pattuito per un sessennio, e c’era da credere che non si sarebbe più mosso. Ci s’era fatto un covo. Stava bene con tutti. Da ultimo aveva stampato un sonetto per il compleanno del sindaco. Ah! quello sapeva pigliare il mondo per il suo verso. Nel comune di Stalora era una specie di segretario o fasservizi universale, ficcato in tutte le case: portava l’ombrellino alle mogli dei consiglieri, era invitato a pranzo tutte le domeniche, raspava qualche cosa da tutte le parti. Quel furbacchione aveva perfin studiato un po’ di latino, e durante le vacanze preparava i figliuoli dei villeggianti alla 1a ginnasio: declinazioni e pronomi, coi verbi sum e habeo, niente di più; ma sapeva rivender bene quel poco. — Non hai mai visto nessuna delle sue lettere sul supplemento - del Popolo? Ce n’è una ogni momento; un elogio alla conferenza dell’ispettore, il resoconto del pranzo in onore del pretore traslocato, la relazione della festa dei premi, e c’è un po’ di sapone per tutti. Quello lì, vedi, è capace di pescare con l’amo dell’abbecedario una dote di cinquantamila lire. Siamo noi gl’imbecilli, caro mio.

— Ma la tua lite! — gli domandò il Ratti quando furono seduti a tavola, davanti al sacramentale antipasto.

— La mia lite, — rispose il Lérica, facendo cipiglio — .... ora ci vengo. Un’infamia senza nome. Ga-