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L’EX GRANATIERE.


Egli sarebbe stato molto più contento se avesse potuto presentire che quel nome scoperto così per caso in una gazzetta lacera di quattro mesi avanti era come uno di quegli avvertimenti intimi e improvvisi che riceviamo alle volte per la via, dell’avvicinarsi d’una persona non più vista da anni; la quale ci appare dinanzi un minuto dopo, alla svoltata d’un canto, e c’inchioda là con la bocca aperta. Non era trascorso un mese da quel giorno, infatti, che passando una mattina sotto i portici della piazza del Municipio, a Torino, dove aveva fatto una corsa per rivedere i suoi fratelli, egli vide davanti a sè, in mezzo alla folla, una lunga schiena un po’ arcata, e una larga nuca sanguigna, che gli destarono una vaga reminiscenza. L’uomo camminava lento, in atto di meditazione, tenendo una man nell’altra dietro le reni, e anche le mani gli parevan quelle. Il giovane lo raggiunse, e lo chiamò: — Lérica! — Si voltarono due grand’occhi e due gran baffi: era lui.

— Ratti! — gridò con l’accento rude con cui soleva far l’appello dei granatieri; e per dimostrazione di gioia gli piantò le sue due mestole sulle spalle, e gli diede una scrollata che lo fece tremare da capo a piedi.

E s’affollarono di domande a vicenda. Il maestro Ratti accennò in quattro parole i casi suoi, e disse,