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e per maniere, ma anche nelle idee, e, forse per proposito per coscienza, in tutte le idee, e quello che più turbò il maestro, aveva un linguaggio lucido e acuto, che mostrava ingegno, e feriva alla radice tutti i suoi dogmi didattici. Egli entrò nella scuola, trascinandosi dietro come uno stato maggiore il sindaco, il soprintendente, il delegato, e un giovane sconosciuto, di cui non si capiva l’ufficio, e pure non rimproverando il maestro, gli trovò a ridire su ogni cosa, trovò tutto male, tutto da rinnovare ab imis fundamentis.
Inteso un pezzo di lezione, che interruppe a mezzo d’un periodo, domandò al maestro: — Dunque, ella segue il metodo interrogativo?
Il maestro espose la sua idea: usava l’uno e l’altro metodo, l’espositivo e l’interrogativo o soggettivo, secondo i casi; li alternava, ma dando la preferenza al secondo, specialmente con gli alunni di 1a. Così faceva da due anni, e non se ne trovava mal soddisfatto.
L’ispettore scrollò il capo. Egli era assolutamente contrario al secondo metodo, che non tirava su che dei cianciatorelli presuntuosi. Era tempo buttato via. Due su dieci ne profittavano, gli altri facevan da pappagalli, indovinando la risposta dalla domanda. Era un vero palleggio di ciancie; un metodo comodo, senza dubbio, per il maestro; ma che aveva fatto il suo tempo. La scuola la doveva fare il maestro solo, e non tutta la classe con lui, con certi dialoghi che somigliavano alla conversazione d’un uomo con l’eco. Il maestro doveva parlar sempre, ripetendo quanto occorreva, e perfezionandosi quant’era possibile nell’arte d’esporre; e come gli alunni dovevano imparar tutto dalla bocca di lui, così non trattati, non sunti, non copiature. La gran maestra, l’unica maestra, la voce.
Poi, avendolo tastato sull’argomento dell’educazione, gli domandò con leggera ironia: — Ella dunque studia i caratteri?... E lavora i cuori, per conseguenza. — E anche su questo aveva delle idee opposte, ma opposte affatto. Secondo lui, il maestro aveva da insegnare, e nient’altro. Tutto il tempo dedicato, come s’usava, a modellar le anime, era tempo rubato, senz’alcun frutto, all’istruzione. Il maestro non poteva fare nè il padre, nè la madre, nè il direttore spirituale: era un fabro d’intelligenze, e nulla più; e gli pareva che bastasse.