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malaticcio, coi gomiti sul davanzale e il mento tra i pugni, a guardar nella strada, dove passava ogni mezz’ora una persona e un carro ogni mezza giornata; il che bastava ad occupare la sua mente. Quel vecchio era per lui l’immagine incarnata del villaggio. Qualche volta quegli alzava il viso e lo guardava, tirando uno sbadiglio, e il maestro pure sbadigliava. E allora, all’idea di dover viver così per molti anni, assalito quasi da un senso di terrore, pigliava il cappello e scappava pei campi, come per sfuggire al fantasma del suo avvenire.


LA BATTAGLIA CAMPALE.


Da quello stato d’animo venne a toglierlo, verso la fin di settembre, la morte quasi improvvisa di don Pirotta. Già prima egli era in dubbio se, spirato il biennio, avrebbe rinnovato il patto col Municipio per altri due anni; ma, dopo quella morte, avendo subodorato che era intenzione della Giunta di cercare un maestro prete per raccogliere in una sola persona i due uffici, chiesto consiglio per lettera al suo protettore di ***, si licenziò spontaneamente, e pensò a provvedersi un altro posto. Questo licenziamento improvviso, appena risaputosi, ebbe per effetto di mitigare leggermente l’espressione di torvo rancore con cui il parroco gli rendeva il saluto, e di far sì che, a scuole incominciate, egli non gli facesse più sentire la sua inimicizia che come un brontolìo di tuono lontano, senza minaccia di immediata tempesta. Non solo; ma il maestro fu ben presto affatto dimenticato da lui, in conseguenza d’un avvenimento clamoroso, che restò nella storia del paese.


Poco prima che si riaprissero le scuole era ritornata da Torino, dopo un mese d’assenza, la maestra Fanari,