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v’avea allora in Padova, e forse anche altrove, fuor solamente che Biagio Pelacane da Parma, uomo insigne non solamente ne’ fasti della filosofia, che dell’avarizia. Insegnava egli a Padova pubblicamente gli altri filosofici studj, ma per ciò che s’aspetta alle matematiche, che formavano il suo maggior vanto, se alcuno era voglioso d’apprenderle, gliele spiegava privatamente a suon di contanti. Il nostro Vittorino, che a stento col misero mestier di pedagogo si guadagnava onde vivere, ed era bramosissimo altronde di divenir matematico, si studiò con tutti gli ufficj d’indurlo ad istruirlo in questa disciplina, senza la troppa dura condizione del pagamento. Ma tutto fu inutile con quell’uomo crudele e taccagno. Francesco da Castiglione ci narra cosa, che ci mostra ad un tempo e la durezza ed avarizia del Pelacane, e l’ardor meraviglioso di Vittorino per le cognizioni. Dice egli dunque che quest’ultimo, dopo sparse invano molte preghiere, si pose, onde muoverlo a compiacergli, ad esercitar con esso lui il mestier di servente, sino a lavargli i piatti e le scodelle dopo il mangiare. Sentiam dalle sue stesse parole una cosa strana così che parrebbe incredibile, ove un discepolo di Vittorino non la narrasse. Pel corso intero di sei mesi durò la mirabil sofferenza di Vittorino, nè punto venne meno, ammollì pure un poco la mostruosa caparbietà del Pelacane come ci assicura il medesimo Castiglione. La necessità aguzza l’ingegno, e il fa capace delle più magnanime imprese.... Vittorino giustamente sdegnato contro il barbaro Pelacane, e dalla difficultà d’ogni brama incentivo, fatto più ardente amatore delle matematiche, volle di se stesso esser maestro e discepolo, onde provvedutosi dell’opera di Euclide, dato bando al sonno e ai pia-