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Il povero decoratore di santi potentino era un uomo semplice, di pochi studi: era dotato però di un acuto spirito di osservazione e di una certa vivacità naturale di ingegno. I suoi versi sono la epressione schietta dello stato dell’animo suo, che è quello di un Potentino del sessanta, di poca cultura, che ragioni con i suoi amici dei grandi avvenimenti del tempo.

La sua mentalità è un pò quella del contadino, di cui usa le parole, ma appunto per questo si riflette nelle sue poesie la sincerità e finanche l’ingenuità di chi non conosce le finzioni e i falsi entusiasmi nell’arte e nella politica.

Una rapida scorsa delle poesie che seguono ce ne convincerà subito e servirà anche a renderle più accessibili a chi non conosce il dialetto potentino che non è certo il più soave, il più morbido dei dialetti italici.1

Malgrado ciò il Danzi riesce quasi sempre a scrivere dei versi che, vinta la difficoltà della pronunzia, appariranno facili e scorrevoli, e qualche volta dotati di una bella efficacia.

Rumaniette mpo’ ncantare
A sentì tanta rumore:
po veriètte tre culore
e lu sanghe m’aggiardà.

Così, senza un aggettivo, con poche parole, ci

  1. A questo proposito bisogna fare una osservazione importante. Moltissime parole del dialetto potentino terminano con una e la quale è assolutamente paragonabile alla e muta o semimuta dei Francesi. Nel nostro dialetto è più frequentemente semimuta che muta, in quanto nella pronunzia di molte parole un suono speciale, che in italiano non ha l’equivalente, è ad essa dovuto. Ora in un buon numero di casi questa e non costituisce sillaba con la consonante che la precede. Chi non tenesse conto di questa avvertenza troverebbe nelle poesie del Danzi un gran numero di versi sbagliati.