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La prima non ebbe e non potè avere letteratura scritta. Eppure iniziò una sua propria letteratura di cui l’ultima eco non anche si è spenta. Perchè quella gente primitiva e remota già aveva trovato e cantato i primi inni agli Dei; già aveva immaginato fantasiosi racconti di miti, di cui ritroviamo gli sparsi frammenti nelle mitologie orientali, nelle classiche, nelle nordiche; aveva già inventato, con iscopo morale, la favola degli animali. La seconda va superba della più meravigliosa fioritura letteraria del mondo, ed è a buon dritto salutata l’età classica delle letterature tutte. Perchè, mentre in India nasceva il Rigveda e con esso gli altri Vedi e con essi tutta l’ampia letteratura filosofica che vi si connette, e si componevano i grandi poemi del Râmâyana e del Mahâbhârata, e s’iniziava la letteratura drammatica, nell’Iran un gran movimento religioso e filosofico dava principio e forma all’Avesta, al libro sacro che la tradizione attribuisce a Zarathustra, e un cenno del Re dei re, di Ciro, di Dario, di Serse, faceva coprir d’iscrizioni cuneiformi le roccie d’Alvend, di Behistân, di Naqsh-i-Rustem e le pareti marmoree dei palazzi di Persepoli. In Grecia, intanto, iniziavasi e compivasi quella meravigliosa letteratura che dai tempi omerici va agli alessandrini, e in Italia quella degnamente sorella della greca, che dal canto dei fratelli Arvali si discende fino a Lucrezio e a Virgilio, a Cicerone, a Livio, a Tacito.

Nella terza, che s’inizia intorno al x secolo dell’era nostra, pare che un novello spirito animi d’un tratto, consentaneamente e, si può dire, contemporaneamente, queste stirpi tutte. Queste stirpi tutte si sono profondamente mutate, e da tanto mutamento scaturiscono manifestazioni novelle e inattese nella lingua, nella letteratura, nell’arte. Già son formate e già si adoperano in Francia, per dir d’amore e per narrar di paladini, le lingue volgari d’oc e d’oil; già in Ispagna si celebrano le imprese del Çid nel volgare castigliano; già il volgare, in Germania, fa le sue prove nei canti d’amore dei Minnesinger, e i volgari d’Italia fanno intendere la loro voce qua e là per la penisola, quasi attendendo a chi di loro il destino darà di prevalere sugli altri; e là lontano, nell’Iran, ecco cessar nell’uso letterario l’idioma importato e imposto dagli stranieri, l’arabo,1 e sostituirvisi la nuova lingua persiana, volgare anch’essa, agile, snella, armo-

  1. La lingua araba, s’intenda bene, non fu mai parlata in Persia (se togli in qualche corte). Si usava scrivendo, ed era la lingua dotta.