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Dov’era Daniele? La sua fantasia gli mutava luogo ogni momento. Era alla finestra dell’Hôtel du Parc, dove aveva fantasticato lei, era in un bigio villino sul lago, di cui si ricordava, o in un altro giallo e rosso sul colle? E immaginava presso a lui un’altra persona in tutte le forme, pietose o ributtanti, della vecchiaia, in tutti gli atteggiamenti del dolore, sinceri o falsi. L’incontro di Daniele con sua madre doveva essere accaduto da due giorni. Non era possibile che ne passasse un altro senza lettere. La posta non arriva che alla sera.

«Dodici ore ancora!» pensava Elena ferma sul ponticello di legno a guardar le acque ombrose del Rovese, a bere il vento vitale, odorante di prati alpini e di abeti. Passò il padrone della vicina sega idraulica e salutò attonito la «contessina» come, a Passo di Rovese, tutti la chiamavano ancora. Ella lo trattenne amabilmente, lo condusse, tra seria e scherzosa, a parlare di elezioni. Colui, un elettore influente, era stato lavorato a dovere dal barone Di Santa Giulia, e le rispose misterioso, sorridendo con un’aria di finezza che, a prima giunta, turbò Elena. Ella penetrò l’arcano e soffiò via in un momento le ragnatele elettorali del barone. Disse ridendo che in politica lei e suo marito si facevano la guerra e che anche il conte Lao ci teneva molto all’elezione di Cortis. Era una considerazione vitale, questa, perchè casa Carrè sosteneva volontariamente per metà le spese di manutenzione del ponte che era stato costruito dal proprietario della sega. Costui promise, contrito, che avrebbe votato per il signor Daniele. «Quando la mi dice così, quando la mi dice così!» E fatta una grande scappellata, tirò via per la sua strada.