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hyeme et aestate 391

fosse stato presente alla sua partenza, o anche solo se l’avesse veduto poco prima. Sapeva che sarebbe venuto a salutarla ad un bivio, dove la strada che ella doveva percorrere è raggiunta da un’altra che move direttamente da Villascura.

La contessa Tarquinia era alla finestra, in veste da camera. Chiamò Elena a piè della finestra, le diede una fila di commissioni per la città, le raccomandò di non farsi aspettare, l’indomani, a pranzo. Non v’era di peggio per metter di malumore lo zio! Elena non rispose, salì nella sua camera. Passando per la loggia incontrò Pitantoi.

«Se è vero» diss’egli «che si disfanno i deputati d’adesso e che dopo ci danno il bollettino anche a noi, pesce popolo, lo facciamo ancora, sa, il signor Daniele.

Elena gli disse «bravo» sottovoce, gli stese la mano.

«Gesummaria, contessina?» disse Pitantoi tutto sorpreso e confuso. «Bene, bene» soggiunse perchè ella insisteva, «faremo anche questa!» E toccò appena quella piccola mano che strinse la sua con gratitudine.

Passando, nella sala superiore, davanti alla porta dello zio Lao, Elena ci gettò un bacio. Lo zio aveva protestato, la sera prima, contro una partenza così mattutina. A quell’ora lui non s’alzava nè per Domeneddio nè per il prossimo. Elena era contenta, ora, di non vederlo. Ripose il volume delle Mémoires nella borsa da viaggio, insieme a un ramoscello di rosa con bottoni, foglie e spine. S’inginocchiò un momento davanti alla finestra e discese frettolosamente. Trovò sua madre e il senatore in loggia a