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388 | daniele cortis |
duto, attraversato al margine verde; aspettò che parlasse.
«Vorrei sapere» diss’ella con voce incerta «se hai amato... prima.
«Ho amato te da ragazzo» rispose Cortis. «Poi non ci ho pensato più per molti anni. In quel tempo ho bevuto del fango assai, perchè ero violento, allora, in tutto. Ho creduto d’essere innamorato otto o dieci volte. Non era vero, mai. E dopo?
«Dopo... vorrei sapere... quando...
Ella abbassò il viso sul petto, non disse altro.
«Quando ho incominciato ad amarti? Non lo so bene. Mi era parso tante volte di amarti, e poi mi era parso che non fosse vero. Fu l’ottobre dell’altr’anno, dopo la tua partenza, che m’avvidi di non poterti dimenticar più. Tu sei tornata in maggio. Allora!...
Un palpito violento gli sollevò il petto, gli ruppe la parola.
Ella sapeva, oramai.
Si alzò, prese il braccio di Cortis, raccolse negli occhi, nell’anima ogni forma, ogni colore del caro paese: le ghiaie bianche, l’acqua veloce e verde nel filo della corrente, il prato dell’altra sponda, il grosso rivo spumeggiante che vi casca sotto le case del villaggio alte a destra e bianche di sole, umili e scure a sinistra dietro i gelsi; e, sopra i tetti di queste, gli erbosi pendii, gli abeti della villa Carrè, il Passo Grande.
«Daniele, Daniele» diss’ella col pianto nella voce, «andiamo via!»