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386 | daniele cortis |
Sic coniunguntur astra et planetæ, non corpore sed lumine: sic nubent palmæ, non radice sed vertice.
Ardeva nel viso e nel cuore. La sua voce potente parve prolungarsi nel fragor del fiume, dominar la sorte ed il tempo.
Elena gli domandò poi come dovesse comportarsi con la mamma e con lo zio. Le era dolorosissimo di dover partire così, senza commiato, con un inganno; ma non era possibile fare diversamente. Bisognava lasciare una lettera, un saluto, qualche cosa, ed ella non si sentiva la forza di scrivere: perchè poi avrebbe avuto tante cose a dire! Raccontò allora il suo ultimo colloquio con lo zio. Avrebbe pur voluto fargli sapere quanto si fosse ingannato col suo scetticismo riguardo a Cortis. Questi ne la sconsigliò. Non doveva alludere in nessun modo a lui. Non doveva far credere allo zio che le sue parole, i suoi sospetti le avessero data l’ultima spinta alla partenza. Sarebbe bastato, per ora, mandar poche righe da Venezia e riservarsi di scrivere a lungo da Yokohama.
Elena chinò la fronte.
«Farò così» diss’ella. «E tu?» soggiunse dopo un istante.
«Io parto domani sera. Vado a Roma.
Ella godeva che tornasse al suo posto di combattimento, ma pure le parve che lo schianto di lasciare il suo paese, la sua casa, fosse più forte, perchè andava via anche lui.
«Mi scriverai tutto» disse, «delle tue battaglie, delle tue vittorie.
Cortis rispose che non ci potevano ancora essere vittorie, per le sue idee. Neanche vere battaglie. Non