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384 | daniele cortis |
«Cosa è accaduto?» chiese Cortis.
«Nulla, ora; ma tanti, tanti anni addietro... Oh Daniele, adesso mi pento, non vorrei dirtelo!
Tacque, piegò il viso sulle ginocchia. Cortis le sedette accanto, le accostò le labbra all’orecchio.
«Non parlare» diss’egli.
«E se faccio male?» rispose Elena.
Egli ripetè, più forte stavolta, quasi supplichevole:
«Non parlare!
«Vorrei» mormorò Elena «che il Signore m’ispirasse.
Cortis si chinò ancora all’orecchio di lei.
«Alessandria?» diss’egli sottovoce, «1855?
Elena girò a lui il viso stupefatto.
Egli la guardava pallido, con un dito sulle labbra.
«Lo sapevi?» diss’ella.
Non rispose.
Ella si fece grave, grave, cinse d’un braccio il capo di lui, lo piegò a sè, sfiorò, con le proprie labbra, le sue.
Fu un suggello di silenzio. Ella gli prese una mano, se la tenne in grembo, l’accarezzò guardandolo, cercando il suo sguardo. Ma lui taceva, smorto, fitti gli occhi nella corrente ombrosa ai suoi piedi. Stettero così a lungo. Finalmente Elena gli sussurrò umile umile: «mi perdoni?» Egli le posò la mano sul capo, un momento. Subito dopo si alzò, le propose di andar sul macigno proteso del fiume, di fianco al sostegno di pietra. Sedettero là nel rombo dell’acqua che traboccava in un tremolo arco vitreo dall’orlo del sostegno alla spuma sonora, e correva via tutta gorghi e fremiti verso il sole. Là davanti la valle aperta era tutta una luce, un verde giù fino al cielo.