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sai, sei contento?» vi si immerse con febbrile piacere, esaltandosi nel pensiero di quell’amor sublime ch’era suo, nel pensiero che Dio li aveva presi, Elena e lui, per sempre, che gli erano più vicini, l’uno e l’altra, che la loro unione aveva oramai qualche cosa di santo e di eterno, per cui il dolore e la morte non la potrebbero sciogliere. Pensava così, ebbro di una felicità fiera e sicura da qualsiasi vicenda terrena, ciecamente convinto che Dio gli dicesse: «Tu hai l’anima sua, avrai lei nell’altra vita. Io volli questo frutto dell’amore che v’ispirai. Ora ch’ella parta, e tu, temprato da un valoroso fuoco, va, combatti, soffri ancora, sii nobile strumento, fra gli uomini, di verità e di giustizia.» Le stelle, le montagne, i grandi abeti severi gli erano testimoni ch’egli rispondeva: «sì, lo sarò.

Tornò passo passo verso casa, verso il lume della sala che luceva lontano in capo alla strada diritta, al portico, alla loggia, come un occhio di fuoco in capo ad un cannocchiale puntato da lui, Cortis. Elena stava forse pregando, lassù, nella sua camera. Andò a sedere sotto la finestra di lei, verso il cipresso, vi rimase fino a mezzanotte quand’ella spense il lume.

Il mattino vegnente Cortis uscì di camera, adagio adagio, alle cinque e tre quarti. Il domestico che dava ordine alla sala gli disse sottovoce: «alzato presto, stamattina, il signor Daniele!» L’aria fresca, vitale, entrava da tutte le porte spalancate. I capineri cantavano sul cipresso.

«S’è alzato nessuno?» disse Cortis.

«Nessuno.

Si fermò un momento ad ascoltar gli uccelli, a guardare, sul cipresso, il verde chiaro, i bei grap-