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Il conte Lao era ancora molto scuro. Sdraiato nella sua poltrona, teneva sulle gambe una coperta di mal augurio. Girò appena il capo a salutar sua nipote.

«Son qui, zio» diss’ella.

«E son qui anch’io e avrei fatto meglio a non muovermi mai. Con quell’aria, con quell’umido d’oggi, sento che mi son tornati tutti i miei malanni. Me lo merito. Ho voluto fare il bravo e sono il caval di Gonella. Ma questo non importa. Ho anche un dispiacere.

«Che dispiacere, zio?

Era una gran fatica per Elena di stare attenta a quel che egli diceva, di pigliarvi interesse.

«Ho avuto una lettera da Roma, oggi» rispose il conte. «Un biglietto della Cortis che mi accompagna questo foglio qui. A te; leggi.

Elena prese il foglio, si fece alla finestra per leggerlo. Era una lettera dell’arciprete alla signora Cortis, in cui si parlava molto dei frequenti passeggi di Cortis con Elena, dei commenti che se ne facevano in paese. Il signor arciprete non voleva pronunciar giudizi temerari, ma deplorava lo scandalo e la nessuna cura di evitarlo. Egli avrebbe voluto parlarne con qualcuno della famiglia, ma non l’osava; preferiva rivolgersi a lei che forse avrebbe avuto mezzo di far qualche cosa. La signora chiedeva al conte Lao, nel suo biglietto, se fosse persuaso, adesso, di quanto gli aveva detto a Roma.

«Quell’asino intrigante non porterà più i piedi qua dentro» disse Lao «ma...»

Elena, che leggeva ancora tenendo la lettera a due mani, la sbattè giù a mezza persona, si eresse fieramente.