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L’alzò quasi di peso da terra. Elena camminava a stento, tutta abbandonata sul braccio di suo cugino che al cancello le disse:

«Confida in me.

Ella strinse, per tutta risposta, quel caro braccio, parve rianimarsi, camminar meglio. Entrarono dal porticato rustico nella spianata, quando ci entrava dall’altra parte il landeau chiuso di casa Carrè, e il conte Lao usciva con il suo compagno dalla sala della gradinata. Pareva rannuvolato anche lui. Clenezzi salutò Elena come se fosse scampata dal diluvio, ma Lao la guardò appena, non le chiese dove si fossero trattenuti. Cortis disse che restava a Villascura fino all’ora del pranzo. Elena trasalì ma non parlò, anche perchè suo zio, ripetendo «presto, presto», la spinse con un braccio in carrozza, vi spinse il senatore e, salitovi in fretta e in furia anche lui, gridò al cocchiere di partire.

Cortis non si mosse fino a che la carrozza non ebbe svoltato, a destra, il canto della villa. Gli occhi suoi poterono ancora incontrare per un attimo, quelli di Elena. Poi salì in casa, diede ordine che nessuno entrasse da lui non chiamato, si chiuse nel suo studio.

Come fu solo, trasse la lettera del barone, l’avventò, con uno scoppio di collera, a terra. Quindi alzò gli occhi al ritratto di suo padre appeso là sopra il divano in faccia alla scrivania, stette a contemplarlo, palpitante. Era una bella faccia leale, tranquilla, severa.

«Eri più forte, tu» disse il figlio, ad alta voce. «Mi sfogo così, ma sarò degno di te, sai. Questo sempre.