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nel poema dell’ombra e della vita | 363 |
lei con la testa bassa, con una irrequietudine convulsa delle mani, delle braccia, di tutta la persona; lui un po’ curvo pure, ma freddo, guardando diritto davanti a sè, interrompendo di tratto in tratto con brevi domande. All’ultima svolta del viale, mentre Elena raccontava il suo colloquio notturno col barone in via delle Muratte, la solenne promessa datagli, la scena del revolver, si fermò cupo, l’ascoltò in silenzio sino a quando ella ebbe detto dell’ultima lettera scritta da lei al marito prima di lasciare Roma.
«E la risposta è venuta oggi?» diss’egli.
«Sì.
«Dammela.
Cortis prese la lettera, se la pose in tasca senza leggerla.
«Adesso la tengo io» diss’egli, rispondendo agli occhi attoniti di Elena. «La leggerò più tardi; quando sarò solo, sai, e tranquillo.
Si ripose in cammino con lei senza soggiunger parola su quanto aveva udito. A pochi passi dal cancello incontrarono un contadino che veniva in cerca di loro. Il signor conte Carrè e un altro signore erano nella villa ad aspettarvi la carrozza di casa Carrè. Cortis volle ch’Elena tardasse un poco a farsi vedere da loro, la fece sedere sul prato.
«Ho avuto lettera anch’io da Roma» diss’egli dopo un lungo silenzio. «I miei amici vogliono subito un sì o un no riguardo alla direzione del giornale.
Ella tacque ed egli pure. Intanto uscì ancora il sole bruciante come quando è piovuto e vuol piovere.
«Per te fa troppo sole, qui» diss’egli. «Vuoi che andiamo?