Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
360 | daniele cortis |
«Avrei dovuto tacere» disse. «Tu stesso me l’avevi consigliato.
«Io?
«Sì, iersera, quando ti domandai se quella persona che voleva partire avrebbe fatto bene a dirlo, e tu... mi hai risposto... che non avrebbe fatto bene.
Elena parlava a singhiozzi, a sussulti, premendo forte, con la fronte, la spalla di Cortis. Le ultime parole non potevano uscire quasi.
«Forse, ti ho detto. Non avrebbe fatto bene, se...
Non compiè la frase, non disse: se si credeva in dovere di partire. Rimase muto; parve colpito da un pensiero nuovo.
«Vedi?» sussurrò Elena. Cortis protestò impetuosamente. Aveva risposto male, la sera prima, se aveva risposto così. Voleva ella servirsi di una parola buttata là senza riflettere, senza poter indovinare che la si prenderebbe per un consiglio?
«Raccontami tutto» diss’egli.
Ella guardò un momento il pendio ombroso al suo fianco.
Cortis fece atto di aiutarla a sedere. Rispose, accennando del capo, che no, e rimase in piedi con le due mani entro quelle di Cortis, col viso basso. Aperse le labbra a due o tre riprese con un anelito che subito moriva senza voce. Egli, intento, palpitante, aspettava.
Non si udì che il gorgoglio del ruscelletto laggiù fra i sassi neri e le ninfee, che un bisbiglio di pioggerella minuta nel fogliame delle acacie. Qualche gocciolina lo trapassava, ma nè Cortis nè Elena se ne avvidero. Ella finì con crollare il capo e dire:
«Ora non posso.