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nel poema dell’ombra e della vita | 357 |
della campagna, che le davano un piacere tanto dolce, ma silenzioso. Poi raggiunse Cortis e Clenezzi sul prato inghirlandato di bosco che ascende in dolce declivio al culmine del poggio. Cortis s’era voltato verso di lei per mostrare a Clenezzi, sopra la folla dei pini e degli abeti, le balze rossastre del Corno Ducale.
«Bello, bello, bello!» diceva il senatore. Ma quello era niente, secondo Lao, rispetto alla veduta che si aveva da levante, sotto le potenti braccia dei castani, sparse sul ciglio del pendìo verso Villascura. Mentre il senatore guardava di colà la villa e il giardino francese a’ suoi piedi, il sasso coronato di rovine che porta sopra uno scaglione la chiesa, e tutta la verde valle corrente giù al piano sconfinato, Elena sussurrò a Daniele, compiendo la interrotta frase di prima:
«Non devi pensar mai ch’io ti voglia meno bene.
Egli lo sapeva, ma ogni volta che la dolce bocca diceva così, era come una gioia nuova, un esaltamento della vita in ogni fibra. Fremeva ora di doversi contenere, di non poterle almeno prender le mani, chieder che gli parlasse di questa misteriosa lettera, che dividesse con lui tutte le sue pene, che avesse fede in esso, e anche speranza, perchè egli si sentiva forte da poterla aiutar con il consiglio e con l’opera in qualunque difficoltà.
Gli occhi suoi lo dissero ed ella intese, i suoi propositi di segreto l’abbandonarono, pensò che, se in quel momento fossero stati soli, avrebbe voluto piegargli la fronte sul petto e dirgli tutto, tutto. Mai nè lui nè lei avean sofferto tanto di non esser soli come in quel punto.
«Hai udito» diss’egli, «che forse torno a Roma?