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nel poema dell’ombra e della vita 355


sco, sperando, quasi, che gli altri sarebbero tornati indietro senza di lei. Avrebbe voluto perdersi là dentro, sola, per ore ed ore, prima di risolver niente, pensar come difendersi da lui che avrebbe voluto sapere! Egli le aveva detto la sera prima: «Se questa persona credeva suo dovere di andar via per sempre, avrebbe fatto bene a non avvertire l’amica; quel dovere ne sarebbe diventato troppo difficile a compiere.» E adesso come dirgli niente? Sarebbe stato possibile, anche facile, durante il passeggio; ma più tardi?

Suo zio, che intanto si era fermato a disputare con Cortis sul tempo, le gridò dietro: «Elena! Alla colonna!» Oh, non l’avrebbero lasciata sola, no! La raggiunsero sul sentiero che sale sotto i grandi castani e il delicato verde delle acacie, e gira quindi sul dorso del poggetto, fra sottili tronchi spogli di abeti e di pini. Cortis la interrogava sempre con gli occhi ma non le poteva parlare. Solo una volta che Lao e Clenezzi guardavano ammirando a’ ciuffi altissimi de’ pini, potè sussurrarle:

«Mi dirai tutto, sai.

Ella lo guardò con quella fiamma scura che aveva sempre negli occhi quando sapeva, guardandolo, di non essere osservata; e rispose:

«Se non te lo dicessi, non devi pensar mai...

Le mancò la voce.

«Cosa?» diss’egli, ma non potè aspettar la risposta perchè Lao lo chiamò. Diamine! Il signor Daniele doveva far lui da cicerone, nel suo parco! Clenezzi n’era entusiasta. Il tepido odor molle della primavera, il silenzio, il rinascente verde e anche il continuo mancare e tornar del sole nelle quiete soli-