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330 | daniele cortis |
Cortis si chinò verso di lei, le disse sorridendo:
«Ma adesso non lo credi più, non hai più di queste ubbìe?
«Lo credo ancora» rispose Elena coprendosi il volto. «Solo non ho più quella forza. Sai» soggiunse a un tratto lasciando cader le mani «che in Sicilia ho sperato di morire?
Egli le afferrò le mani, la guardò stringendo le labbra, respirando affannosamente come se avesse paura che gliela portassero via. Ella ebbe un momento di vertigine, socchiuse gli occhi sentendosi mancare, gli tolse pian piano le mani, ritrasse la persona nell’angolo opposto del canapè. Un domestico passò in quel punto per la sala recando degli oggetti nelle camere destinate al senatore Clenezzi.
«Facciamo due passi fuori?» disse Cortis. «Non piove più.
«Sono troppo stanca» rispose Elena. «Va tu, va solo.
Cortis non rispose e non si mosse. Il domestico, ripassò loro davanti, uscì.
«Era meglio» mormorò Elena.
«Cosa era meglio?
«Morire.
«Tu non devi mai dir questo!» esclamò Cortis con tale impeto, ch’ella temè non lo udissero, gli fe’ segno di chetarsi, di abbassar la voce.
«Non devi dir questo» riprese egli piano, ma sempre con accento concitato. «Non sai quello che dici. Non sai come t’amo, io. Non mi permetto un solo pensiero colpevole, sai, Elena, neppur uno! Mai! Ma dimmi, credi tu che io sia nato per quella bassa felicità che cercano i più? Io, vedi, ho bisogno