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battaglie notturne 293


Elena trasalì.

«Sicuro» proseguì il barone. «Digli che quando ero di guarnigione ad Alessandria, ho conosciuto moltissimo da vicino sua madre.

«Tu?» esclamò Elena.

«Io, sì. La conosci quella storia? Sono stato io e non l’ufficiale d’artiglieria. Diglielo, diglielo, al reverendo. Lo sappia! Cosa me ne importa? Oramai non m’importa più niente di niente. E poi è una giustizia. Diglielo a nome mio, se sua madre non glie l’ha detto; perchè sento ch’è tornata dall’inferno, quella strega. Sino all’altro giorno non gliel’aveva detto sicuro.

Elena si nascondeva il viso con le palme. Era uno stupore, un orror muto, un desiderio angoscioso di andar via, subito, lontano, un violento resistervi di qualche forza segreta nell’anima sua.

«Oh oh! Che impressione!» disse piano colui con uno strascicare ironico della voce. «Si piange! Povero cugino!

«Io non piango» rispose Elena fieramente, scoprendo e alzando il viso. Si ravviò con la sinistra i capelli sulla fronte e guardò suo marito in faccia.

«Soffro ma non piango.

La faccia del barone si contrasse, un ruggito sordo gli uscì di bocca:

«E non crederò ch’è il tuo amante?

Ella non piegò il viso, non mosse ciglio. Gli occhi eran vitrei, la persona quasi irrigidita, quando rispose sottovoce:

«No, non è vero.

Durarono un tratto a guardarsi in faccia, immobili. Di Santa Giulia ruppe improvvisamente in una furia di gesti e di voce: