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CAPITOLO XVII.


Battaglie notturne.


Undici ore suonavano, quella sera del 28 marzo, da Piazza Navona e dalla Sapienza, la luna batteva sulle case, sui marciapiedi deserti, in faccia all’augusta ombra nera del palazzo Madama, quando ne uscì, solo, il barone Di Santa Giulia. Si fermò sulla soglia, si volse a considerar l’atrio illuminato. Il guardaportone gli si fece incontro ossequiosamente, pensando che desiderasse qualche cosa.

«Cosa volete, voi?» gli disse il barone, brusco. «Non sono neppur padrone di star qui, adesso?

Quegli rimase intontito.

«Credevo!» ghignò forte Di Santa Giulia, e, voltategli le spalle, se n’andò verso San Luigi dei Francesi.

Aveva recato egli stesso al Senato le sue dimissioni da senatore, laconiche, senza una parola di preambolo nè di chiusa; ed aveva affidata la lettera suggellata a un collega, segretario della Presidenza. Nessuno l’aveva richiesto, ora, di quest’atto; era stata una libera risoluzione sua, meditata da lungo tempo insieme ad altre più gravi, preparata nel segreto del cuore per quando non gli rimanesse più fede di salvarsi da una clamorosa rovina. Essa gli era sopra, oramai; non v’era più campo a’ disperati