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282 | daniele cortis |
«Riposerò un poco» diss’ella, «debbo andar via. Te l’ho detto.
«Tornar via?» esclamò sua madre sorpresa. «Non l’avevo inteso. In quello stato?
Elena aveva nel volto, in tutta la persona, i segni d’un abbattimento profondo.
«Sto benissimo» diss’ella sottovoce, abbandonando il capo sulla spalliera del canapè. «Andrai tu con Daniele, mamma» continuò colla stessa voce sommessa, stanca. «Tu e lo zio.
«Come, io e lo zio? E tu dunque?
«Io no, mamma. Eri proprio distratta, poco fa.» La contessa non capiva in sè dallo stupore.
«Ma, benedetta!» diss’ella. «Cosa vuoi fare, tu?
Elena teneva sempre il capo rovesciato sulla spalliera. Socchiuse gli occhi e rispose appena udibilmente:
«Restar qui.
Poi rialzò il capo e la voce.
«Sai bene» diss’ella «perchè sono venuta a Roma.
Sua madre diè un balzo sulla poltrona, ne afferrò e strinse i due bracciuoli.
«Per tuo marito? Di’ la verità che ti fermeresti a Roma per tuo marito! Senti, Elena. Tu sai quello che ho fatto una volta per aggiustare le cose, quel che ho sofferto. Te ne devi ricordare, a Passo di Rovese! Tu eri nelle nuvole, allora; non degnavi di occupartene. Dopo, lui ci ha trattati come ci ha trattati; lo sai anche questo. Pazienza! Tu sei sua moglie, ti lodo e ti rispetto, hai voluto venire a Roma per aiutarlo. Ci sono venuta anch’io disposta a trovarmi ancora con lui, a fare per lui quello che potevo. Ma adesso! Adesso che agisce in questo modo,