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18 | daniele cortis |
tempie Elena, che tentò, con alterezza involontaria, rialzar la testa.
«Senti» diss’egli curvandosela a forza sul petto: «hai una gran canaglia di marito». Le chinò le labbra sui capelli e disse sottovoce:
«Lo accoppo, io.
Elena si sciolse sdegnosamente da quella stretta, guardò suo zio con occhi scintillanti.
«Sai che soffro» diss’ella «di questi discorsi. Sai che mi offendono. L’ho ben conosciuto, prima di sposarlo. Gli ho ben permesso d’essere mio fidanzato prima e mio marito poi. Pensa quello che vuoi, ma non parlarmi così. Non mi ha ingannata, è stato sempre lo stesso uomo. Non sarebbe niente affatto nobile, da parte mia, di permettere che mi si parli così.
Gli voltò le spalle e andò a guardare dalla finestra, mentre suo zio, irritato ripeteva:
«Giàa! Giàa! Giàa! Perchè nessuno sa ch’eri una bambina! Perchè nessuno sa che te l’hanno imposto!
«No, niente imposto!» rispose la giovane signora voltandosi impetuosamente. La mamma mi spingeva forse un poco, ma il povero papà mi ha ripetuto fino all’ultimo momento: ricordati che sei libera, ricordati che c’è ancora tempo! E non ce n’era bisogno, perchè non è vero ch’io fossi una bambina. Diciannove anni, avevo; e non capivo le cose troppo male!
«E allora, perchè hai detto di sì? Ti giuro che se c’ero io non lo dicevi!
«Oh, signor zio!» diss’ella con alterezza. Sdegnava di parlare, di dire che aveva accettato il primo