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268 | daniele cortis |
tare le dieci o dodici di ieri. Ho pensato che se non dormivo a Firenze arrivavo morto, e allora cosa ne volevi fare di me? Miracoli no, sai.
«Caro zio!» sussurrò Elena stringendogli forte il braccio. «Noi siamo al secondo piano, ma per te ho fatto preparare una camera al primo e adesso andiamo subito da te. La mamma è andata a riposare un’ora fa. Mi aveva detto di svegliarla subito, ma possiamo aspettare un poco.
«Spero in Dio» disse Lao «che non sarà mica a tramontana questa camera!
«No, no, zio.
Ci volle alquanto tempo prima che tutte le valigie, gli scialli e le coperte del nuovo arrivato fossero a posto. Finalmente zio e nipote si trovarono soli sopra un canapè, tenendosi per mano.
«Dunque» cominciò il primo, «Daniele bene?
Elena rispose tranquillamente, senza alzar gli occhi in viso allo zio:
«Sì, benino.
«Me l’ha detto adesso quel da Bergamo; come si chiama? Clenezzi. Di Daniele m’ha detto tutto. E poi m’ha detto anche di altri fastidi che avete.
«Bisogna che tu sappia tutto e presto, zio; prima di veder la mamma, perchè con la mamma, sai bene com’è, non si può parlarne. Si turba, si agita... insomma è meglio che ne parliamo prima tra noi.
«Parla» disse Lao. «Io intanto, se permetti, prendo un po’ di solfato di chinino. Venendo a Roma, per i primi giorni, va bene. Tu parla.
Si alzò, aperse una sacca e si pose a cavarne con gran cura la sua farmacia, una quantità di ampolle e scatoline, guardandone alcune con molta attenzione