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una cosa grave | 17 |
«Non ho voglia, stasera, di suonare.
«Perchè?
Elena non rispose. Seduta, tra una finestra e la scrivania, in faccia a suo zio, lo guardava accarezzando un libro aperto, posato là a sbieco sull’orlo della scrivania stessa. Il conte Lao interpretò certo quel silenzio in un dato modo perchè non insistette, e accese una sigaretta.
«La colpa non è certo mia» diss’egli, buttando nel portacenere il fiammifero acceso.
«Che colpa, zio?
Il conte Lao appoggiò le braccia sul tavolino e guardò il fiammifero fin che si spense.
«Se siamo a questi passi» diss’egli.
Elena non capiva.
«Val poco quel poeta inglese» esclamò il conte Lao, come per rompere una rete di pensieri penosi. «Pochissimo! Pieno di barocchismi. Me lo immaginavo. Il cielo che diventa sette volte più divino per l’assunzione di Mazzini! Corbellerie. E genitivi, poi, genitivi! Santo Dio!
«A che passi, zio?» disse Elena, alzandosi.
Venne a sedergli vicino, sullo sgabello del piano.
«Eh!» rispose lo zio. «Dove hai la testa adesso? Dimmi un po’: hanno giuocato al biliardo poco fa, prima del temporale?
«Sì, zio.
«Anche tuo marito, già?
«Sì, lui e Perlotti.
«Filosofo, lui!
Restò pensoso un momento, poi scattò in piedi gittando via la sigaretta, andò ad afferrar per le
Daniele Cortis. | 2 |