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alla camera 259


grido soffocato guardando là, dove tutti ora guardavano da tutte le tribune, spenzolandosi in fuori, salendo sui sedili, mettendo ai parapetti una corona di prone facce avide. Quando Cortis fu levato di peso da due suoi colleghi e portato via, ella, in un lampo, senza che altri nè lei stessa potesse dir come, si sciolse da sua madre che, tutta tremebonda, le aveva posto addosso le mani convulse, balzò fuori dalla tribuna.

L’usciere di servizio, vista venir di furia una signora pallida e stravolta, pensò di trattenerla, domandarle che volesse; ma ella lo respinse con un gesto imperioso della sinistra, passò oltre, uscì nel corridoio cui mettono le tribune di quel lato della Camera. Il corridoio era vuoto, silenzioso. Si fermò un momento, non sapendo raccapezzarsi da qual parte prendere. Allora un signore uscito dietro a lei la raggiunse.

«Signorina» diss’egli, «non si spaventi, non sarà niente; venga dalla sua signora mamma che è un po’ disturbata anche lei.

La parola «signorina» che in quel momento poteva significar tanto, avrebbe trafitto Elena se tutta l’anima e tutti i sensi di lei non fossero stati altrove. Le parve udire un suono di passi e di voci a sinistra; corse via da quella parte, senza rispondere, si trovò in capo alla scalone che mette alle stanze della Presidenza.

Saliva una frotta di gente. T. e un altro, vedendo Elena, si fecero avanti, la trassero da parte per non lasciarle vedere Cortis ch’era portato su, dietro a loro.

«Non è niente, baronessa» disse T. «Uno svenimento, una cosa da nulla, passerà subito.